……Paolo Del Giudice è un pittore che ama e soffre la caducità dell’esistenza. Chi guarda i suoi quadri ha l’impressione di vedere apparire dal nulla le diverse forme naturali e artistiche, che mai si paralizzano in una certezza definitiva, in una consistenza invulnerabile, ma vibrando combattono il nulla che le avvolge. O meglio: queste immagini a volte più che affacciarsi dal vuoto, spesso paiono sul punto di svanire, hanno la malinconia di un saluto sulla banchina del tempo. Del Giudice potrebbe lasciarle andare, come un albero che in autunno lascia cadere le foglie nel vento, ma un senso poetico e civile lo costringe a trattenerle il più possibile sul limitare del congedo. È una battaglia persa in partenza, forse, ma è la nostra battaglia e non ci si deve sottrarre. Non si può accettare che tutto finisca senza un abbraccio, che non è solo un gesto d’affetto conclusivo, ma il tentativo di mantenere ancora qui tra noi, ancora per un poco, ciò che è destinato ad andarsene. Per questo, dicevo, la pittura di Del Giudice ha senz’altro uno slancio civile. I suoi ritratti di maestri della letteratura non sono solo un omaggio ai volti intensi dell’intelligenza e della sensibilità, ma il tentativo di additare a un pubblico, a una società, le sue poche luci spesso dimenticate, o relegate nella polvere delle università e degli studi accademici. E così questa mostra ha la generosità di un’arca che viaggia sulle acque limacciose dell’Italia contemporanea, ospita nella sua pancia frammenti del passato, ruderi e chiese barocche, e paesaggi minori, quartieri periferici senza nome, e comuni mezzi di trasporto di una vita sudata – tutto ciò che vale la pena di provare a salvare per la sua bellezza o per la sua trepidante umanità. E tra queste immagini potenti perché fragilissime appare, quasi come nume tutelare, il viso asciutto di Pier Paolo Pasolini. Il poeta friulano, romano, italiano è stato il più acceso cantore delle differenze, e il primo a denunciare la minaccia che gravava sul nostro paese: l’indistinzione, l’appiattimento, la spettacolarizzazione criminale che tutto pareggia e cancella. Fu profeta e cassandra: vide ciò che gli altri non volevano vedere, la perdita di ogni intensità, di ogni minima purezza. Lui è il comandante fantasma di questo bastimento carico d’una speranza che non si rassegna. Lui è il corsaro che non si stanca di combattere contro i pedalò della mediocrità. E per un poco, almeno per il tempo che ci serve ad ammirare queste immagini, noi siamo il suo equipaggio, viaggiamo insieme a lui e a Paolo Del Giudice attraverso ciò che di bello e fresco e vero resta di un paese ormai quasi prosciugato.
Marco Lodoli – dal catalogo della rassegna “Viaggio in Italia” Spoleto, Venezia, Bassano del Grappa, 2006 – 2007