…Le straordinarie navi di Del Giudice, immerse nel colore e nelle opalescenze di una bruma, o di un’alba incerta di fumi e vapori, sono sintesi dei magnifici antichi colori veneziani e delle tinte ribollite e a volte bruciate nei forni industriali nei giorni dominati dal respiro pesante e nebbioso del grande polo petrolchimico. Sono le navi dell’Arsenale e sono i carghi, i rimorchiatori, le bettoline e le petroliere. E sono anche i grandi camion, che proseguono su terra il percorso che viene dal mare.
Al petrolio, incrocio di potere, ambizione e sviluppo industriale e tecnologico, Pasolini guardò come alla sostanza chiave di tutta un’epoca. Anche Venezia ha avuto questa visione. L’ha poi tradotta in progetto e in opera. Marghera è il suo doppio per questo. Il sale marino, che entrava e restava come tale a Venezia, a Marghera entra, portato dalle navi, e ne esce trasformato in cvm (cloruro di vinile monomero), per dire solo una, e delle più plasmabili (ma anche pericolose), delle sostanze prodotte e trasformate dal ciclo industriale del cloro.
Marghera. Venezia. Una il doppio moderno dell’altra, il suo sosia occulto. Paolo Del Giudice ha colto, con la misteriosa, e non altrimenti traducibile, perspicacia dell’arte questa segreta identità, e i colori che assimilano forme così diverse, ognuna così estrema nella sua epoca (le chiese veneziane e i capannoni industriali, i marmi e i copertoni), ce la rivelano. Nel segno di Pasolini che disse: “Darei tutta la Montedison per una lucciola” ma che al petrolio intitolò l’opera ultima e soffertissima della sua vita.
Gianfranco Bettin – dal catalogo della rassegna “Viaggio in Italia” Spoleto, Venezia, Bassano del Grappa, 2006 – 2007