Con i poeti ci vuole leggerezza – Paolo del Giudice

Con i poeti ci vuole leggerezza. Così ho scritto a caldo pochi mesi fa sul retro di un quasi trasparente volto di Andrea Zanzotto, dipinto di getto e appena terminato.

Come una vena carsica la figura umana, ossessione monotematica della mia pittura fino ai primi anni ottanta, è ricomparsa, nel 1988, in alcuni volti di Pier Paolo Pasolini, all’interno di una rassegna di paesaggi urbani e relitti del mondo contemporaneo accompagnata da un mio breve testo significativamente intitolato Dedicato a Pasolini.

Fu Fabio Sargentini, visti quei primi piccoli dipinti, a propormi una mostra sui volti sacri di artisti, scrittori e poeti da me amati e frequentati; idea che si realizzò, nel 1990, nello spazio dell’Attico di Roma. Fu forse la prima rassegna, almeno in Italia, a sdoganare una tematica che doveva diventare di moda negli anni successivi. Quanti volti sacri, Pasolini, Beckett, Kafka…divenuti luogo comune di tanta facile pittura e illustrazione fino al limite del blasfemo.

Da allora torno periodicamente su quei soggetti che insisto a chiamare volti e non ritratti. Essi infatti nascono filtrati dall’immagine mentale impressa nella memoria risvegliata in un preciso istante magari da una debole traccia fotografica. Mentre il ritratto, che pratico non di rado e che riservo agli amici, come dice la parola stessa, richiede un soggetto in carne ed ossa che sta davanti a te e che ti sfida a carpirgli il segreto più autentico.

Ho un mio personale archivio di immagini raccolto in una vita, che aggiorno di continuo con i miei scatti o scorrendo giornali e riviste, e ora anche internet, e setacciandoli come un cercatore d’oro. Alla fine l’oro che resta, nel tema dei volti, è quasi sempre l’icona di un poeta, o di un artista o scrittore solo in quanto poeta.

Alcune immagini, poco più che francobolli ingialliti, sono come reliquie che devo toccare e meditare prima di iniziare il lavoro. Poi il dipinto può uscire di getto.

Mi sono chiesto più volte cosa cerchi in quei volti sereni e spesso sulla soglia della vecchiaia. Forse la bellezza del pensiero contrapposta a quella della fisicità perfetta, divenuta ossessione dominante e quasi esclusiva del nostro mondo in cui la poesia pura e disinteressata resta il più forte elemento di contraddizione e di critica.

Tornare su quei volti è ogni volta una sosta tra le tematiche più complesse e più faticose, una pausa per riprendere fiato e fare il punto sull’evoluzione della mia ricerca verso un ideale di sintesi e leggerezza che è il sogno mai raggiunto di ogni artista. Far emergere un volto amato dalla superficie con pochi segni, o comunque segni leggeri e usciti quasi per caso o per gioco, è per me una delle emozioni più intense. E farlo senza schemi precostituiti, lasciando che sia il soggetto stesso ad indicare ogni volta un percorso nuovo.

Mai come in questi lavori sento di mettermi in gioco ogni volta per evitare il rischio di rifare lo stesso quadro cambiandone il soggetto, come certi ritrattisti che preparavano abbozzi di figure su cui inserire il volto del cliente di turno.

Ad eccezione della preziosa selezione di quindici volti di Pasolini esposta nel 2006 in una sala del Palazzo Ducale di Mantova, solo adesso propongo questi dipinti in una rassegna organica, che non poteva trovare sede più idonea della casa materna di Pier Paolo Pasolini, il maggior poeta e la mente più lucida dell’Italia del secondo Novecento. Dalla sua icona ho iniziato questo percorso e vi sono tornato decine di volte, quasi si tratti di un autoritratto per interposta persona.

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