L’equivoco secondo cui l’action painting sia necessariamente da collegare all’arte non-figurativa, se non addirittura a un impianto anti-figurativo, trova nel “pitturare” di Del Giudice una interessante smentita; il che contribuisce a raccordare il suo “lavoro” alla grande fonte dell’espressionismo europeo che da più di un secolo alimenta tanta pittura vitale e anticonvenzionale in un procedimento che fissa l’antidoto all’aleatorio e all’imprevisto.
Paolo, da sempre, combatte una silenziosa battaglia contro la precarietà dell’immagine, il cui statuto, di per sé, non solo come conseguenza del diffondersi dei nuovi media, è in continuo sospetto di scomparsa (osservando i suoi lavori si potrebbe definire la produzione d’immagine il risultato di quel lavoro specifico della facoltà umana consistente nel configurare situazioni visive che valgano a scongiurare, in anticipo, la loro inesistenza). La sua, di Paolo, proprio per questo, è un’attività pittorica che potremmo definire sia “naturale” che “sociale”. Che siano ritratti o paesaggi, esterni o interni, oggetti statici o in movimento, in ogni caso l’intenzione è la stessa: confrontarsi tramite “scatti” pittorici con tutto ciò che accade e che, proprio perché accade, potrebbe non avvenire più e anche non essere mai accaduto prima; potrebbe dissolversi così come, imperscrutabilmente, è apparso. Del Giudice ha, perciò, urgenza di “raccogliere” l’immagine che si è formata davanti al suo sguardo o alla sua coscienza (che è lo stesso: il suo infatti è un occhio cosciente) con la medesima attenzione, si presume, dell’energia creatrice necessaria alla formazione di un’immagine indipendente (se esiste) quando essa si concentri su di sè per esplicarsi. Ciò-che-avviene-fuori, infatti, è qualcosa di apparentemente immotivato, spesso addirittura incomprensibile, al punto che l’artista sembra aver rinunciato a districarne l’eventuale significato (cosa può “significare”, infatti, una foglia spostata dal vento, un prato d’erba in un preciso momento del giorno, una ruota di camion nell’asfalto, una stanza piena di oggetti ?). La conseguenza di questo accostamento al dato visivo rivela il particolarissimo stigma della sua arte: essere l’impasto pittorico della presenza assertiva di un insieme con preciso valore estetico e, per converso, la testimonianza di una eventualità, della possibilità di un accadimento.
Nel flusso instabile della memoria la pittura di Del Giudice produce ricordi inalterabili.